Era il 31 dicembre 1917 quando Federico Zandomeneghi, emigrato da Venezia a Parigi oltre quarant’anni prima, fu trovato morto ai piedi del suo letto. Ai funerali, il 2 gennaio 1918, lo accompagnarono sotto la neve al cimitero di Saint-Ouen per l’ultimo saluto giusto alcuni amici, qualche modella. Così, solo e dimenticato, se ne andò il Vecchio Maestro, che allora nessuno considerava come tale. Ci sarebbero voluti decenni per portarlo alla ribalta, e ciò anche grazie all’opera di rivalutazione critica svolta da Enrico Piceni, autore delle prime monografie e del primo catalogo ragionato della produzione del Vénitien. Oggi Zandomeneghi è un pittore riconosciuto, anche se forse non del tutto adeguatamente valorizzato.
Una nuova occasione per riscoprirlo ci viene offerta dalla mostra L’Impressionismo di Zandomeneghi allestita dalla Fondazione Bano a Palazzo Zabarella, Padova (1 ottobre 2016-29 gennaio 2017). L’esposizione, curata da Francesca Dini e Fernando Mazzocca, propone un centinaio di opere (nell’immagine, Square d’Anvers, 1880) che ripercorrono l’intera vicenda artistica di Zandò, dagli anni giovanili della formazione tra la natia Venezia e la Firenze dei Macchiaioli – anni determinanti per tutta la produzione successiva – al lungo periodo parigino, durante il quale l’artista si confrontò con i protagonisti della Nouvelle peinture, assimilando in maniera del tutto personale le innovazioni introdotte dagli Impressionisti.